Fast Fashion 🤮
Anche quest’anno montagne di vestiti hanno invaso i nostri armadi, ma a quale costo?
Ciao a tutti e buon venerdì!
Anche quest’anno montagne di vestiti hanno invaso i nostri armadi, ma a quale costo? La politica tace. Non una parola sul disastro che il fast fashion rappresenta. Non una critica. Perché? Perché sono servi del neoliberismo, un sistema che prospera sullo sfruttamento e sull’inquinamento. Ogni acquisto di fast fashion è un voto per questo sistema.
100 miliardi di capi vengono venduti ogni anno nel mondo. Marchi - come Shein - ogni giorno propongono 7.200 nuovi modelli e offrono oltre 470.000 prodotti. Il 25% dei vestiti nuovi prodotti in un anno rimane invenduto e viene buttato.
Solo nell’UE, 230 milioni di capi nuovi vengono distrutti ogni anno. Dietro questi numeri c’è un costo immenso: un pianeta soffocato dall’inquinamento, lavoratori sfruttati e risorse sprecate senza ritegno
Oggi condividiamo con voi un articolo scritto da Franz Simonini sul tema.
P.S: In fondo troverete un sondaggio!
🛍️ Fast Fashion: cos’è?
Il fast fashion è l’incarnazione più evidente del neoliberismo, basata sulla rapidità di produzione e consumo. Marchi come Zara, H&M e Shein hanno manipolato il mercato offrendo un’infinità di capi a prezzi accessibili, cambiando collezioni ogni settimana per creare un bisogno costante di novità. Questo modello spinge i consumatori a vedere i vestiti come beni usa e getta, abituandoli a un ciclo continuo di acquisti. Tuttavia, il basso costo dei capi non riflette il reale prezzo pagato, che ricade su ambiente, lavoratori e comunità vulnerabili.
🌍 Qual è l’impatto ambientale?
Il fast fashion ha un costo ambientale devastante. La produzione di abiti richiede un’enorme quantità di risorse naturali, come acqua ed energia. Per esempio, la produzione di un solo paio di jeans può consumare migliaia di litri d’acqua. Inoltre, i tessuti sintetici come il poliestere, largamente utilizzati per i capi economici, rilasciano microplastiche che inquinano mari e oceani, con conseguenze disastrose per l’ecosistema marino. Il settore della moda, inoltre, è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra, aggravando la crisi climatica e ponendo il settore tra i più dannosi per l’ambiente.
👩🏭 Sfruttamento dei lavoratori
Dietro i prezzi bassi si nasconde il sistematico sfruttamento di milioni di lavoratori nei Paesi in via di sviluppo. La produzione è spesso localizzata in aree dove le leggi sul lavoro sono inesistenti o poco applicate. In questi luoghi, le aziende possono pagare salari bassissimi e imporre condizioni di lavoro precarie. Le fabbriche, spesso chiamate “sweatshop”: caratterizzate da orari massacranti, ambienti insalubri e mancanza di sicurezza. Episodi tragici come il crollo del Rana Plaza in Bangladesh, che nel 2013 ha causato la morte di oltre 1.100 lavoratori, sono la prova più evidente dell’urgenza di interventi globali per garantire diritti fondamentali ai lavoratori.
🛒 Un sistema che incentiva lo spreco!
Il fast fashion alimenta un modello di consumo insostenibile, basato sull’idea che i vestiti siano beni temporanei. Le aziende offrono continuamente nuovi capi a prezzi ridicoli, spingendo i consumatori ad acquistare più del necessario. Questo comportamento ha portato ad un aumento esponenziale dei rifiuti tessili. Ogni anno, milioni di tonnellate di abiti vengono gettati via, molti dei quali mai indossati. Molti di questi vestiti finiscono in discarica, rilasciando sostanze tossiche nell’ambiente, o vengono esportati nei Paesi in via di sviluppo, dove creano nuovi problemi di gestione dei rifiuti.
🌎 Quali sono i problemi globali?
Il problema della fast fashion è globale, ma gli effetti si sentono in modo più acuto nelle aree più vulnerabili. Nei Paesi esportatori, le comunità locali devono fare i conti con montagne di vestiti scartati provenienti dai Paesi ricchi. Questi rifiuti spesso intasano le infrastrutture locali, inquinano il suolo e i corsi d’acqua e ostacolano le economie locali, soffocate dalla concorrenza dei capi di seconda mano importati a basso costo.
🤔 La responsabilità del consumatore e delle istituzioni
Il cambiamento deve partire anche da noi, che possiamo adottare un approccio più consapevole nei confronti della moda. Scegliere capi di qualità, duraturi, acquistare meno e preferire l’usato sono azioni concrete che possono fare la differenza. Tuttavia, non si può lasciare tutto sulle spalle dei singoli: le istituzioni hanno il dovere di intervenire! Leggi più severe devono obbligare le aziende a rispettare standard etici e ambientali. Servono incentivi per chi investe in tecnologie sostenibili, come il riciclo delle fibre tessili, e campagne di sensibilizzazione per educare il pubblico sugli effetti negativi della fast fashion.
🌱 Un futuro sostenibile è possibile?
Immaginare un futuro diverso per la moda significa puntare sulla “slow fashion”, un modello che valorizza la qualità, la durata e la sostenibilità dei prodotti. Le aziende possono investire in materiali riciclabili, processi di produzione a basso impatto e modelli di economia circolare che minimizzano gli sprechi. I consumatori, da parte loro, possono contribuire scegliendo di acquistare meno e meglio, dando priorità alla riparazione e al riutilizzo degli abiti. Solo con un impegno collettivo sarà possibile trasformare l’industria della moda in un settore più equo e rispettoso del pianeta.
E adesso abbiamo una domanda per voi:
Lo dico anche se ho “solo” 23 anni, bisognerebbe informare maggiormente i giovani su queste tematiche, perché fino ad oggi Greta Thunberg ha acceso tematiche solo sul consumo dei combustibili fossili; evidentemente i social (Meta e Microsoft) non avrebbero più gli stessi guadagni dalle inserzioni pubblicitarie del fast fashion!
Le mitiche 4R: riduci, riusa, ricicla e recupera.
Distribuire, condividere e donare vestiti che non ci vanno più bene